Da un’idea nata per caso, a Berlino a fondare un’azienda
A 26 anni mi sono reso conto che, se fossi restato nella mia città, il mio percorso sarebbe stato già scritto, quando in realtà c’era tutto un mondo da scoprire, nuove culture, nuove persone.
Ci racconti chi sei?
Sono nato ad Arezzo, cresciuto a Monte San Savino, una ridente città di circa 9 mila abitanti che si trova nel cuore della Toscana, tra Arezzo e Siena. Dopo il liceo Scientifico ad Arezzo, ho studiato Economia e Gestione delle Piccole e Medie imprese dell’Università di Siena, ma presso la sede distaccata di Arezzo… troppo comodo rimanere a casa con la mamma al tempo.
Subito dopo la triennale, sono entrato nel mondo del lavoro - in azienda, perché comunque avevo sempre lavorato durante i miei studi, facendo vari mestieri tipo cameriere d’estate, disk jokey, commesso presso un negozio di articoli sportivi, e a un certo punto avevo anche intrapreso la carriera da “imprenditore” di moda, lanciando una linea di magliette insieme ad un mio amico. Un alieno chiamato Robey che guidava una Vespa, disegnato da me. Dopo aver investito tutti i nostri ricavi in una mega festa per promuovere il brand, dovemmo abbandonare il progetto a causa di qualche infortunio fisico.
Il mio primo lavoro in azienda dopo la laurea è stato presso Knowità, una società di consulenza e formazione con sede ad Arezzo, dove mi occupavo di marketing. Io che il marketing all’università non l’avevo nemmeno studiato perché l’esame era facoltativo. Quella esperienza è stata importantissima per me, perché in realtà ho capito che il marketing era la mia grande passione, e quello che mi riusciva fare meglio. Ho imparato tantissimo durante quegli anni, e sarò per sempre grato all’opportunità che l’AD di Knowità e tutto il loro team mi hanno dato. A dire il vero, sono ancora molto legato a loro e ogni volta che torno passo a trovarli (non sto mentendo, ecco le prove in questo post 🙂)
Cosa ti ha spinto a intraprendere un percorso all’estero?
Premessa: prima di partire per Berlino, non avevo mai messo il capo fuori dall’Italia (a parte qualche vacanza in Spagna con gli amici, ovviamente). La decisione di muovermi all’estero è maturata per diversi motivi. La pulce nell’orecchio me l’aveva messa un mio caro amico, Michele, amico di famiglia e mio vicino di casa a Monte San Savino, e con il quale avevamo condiviso alcuni momenti della nostra giovane età. Michele si era trasferito a Berlino circa un anno prima di me, e continuava a dirmi che Berlino sarebbe stata la città perfetta per me, con tante opportunità lavorative sul marketing, con tanta musica, con tanta libertà. E io avevo iniziato a coltivare l’idea. Ci ho messo un po’ a trovare il coraggio di mollare tutto, il lavoro con un contratto molto buono, le relazioni, gli amici, la famiglia. Ma alla fine ho deciso di ascoltare il mio “gut feeling” come si suol dire, e l’ho fatto. Potrebbe sembrare brutto o presuntuoso da dire, ma mi ero reso conto che a 26 anni, se fossi restato a Monte San Savino, il mio percorso fosse già scritto, quando in realtà c’era tutto un mondo da scoprire, nuove culture, nuove persone. È stato difficile spiegarlo ai miei genitori (mio papà che non mi rivolse parola per almeno 10 giorni LOL), però poi tutti hanno capito, famiglia, amici e parenti, e mi hanno supportato in questa scelta. Sono ancora molto affezionato e vicino a tutta la mia famiglia, e al mio paese natale, che visito sempre con piacere.
Ma soprattutto sono molto grato a Michele, che quella sera del 2 dicembre mi è venuto a prendere all'aeroporto, e siamo tutt’ora, dopo quasi 12 anni, vicini di casa a Berlino, e direi fratelli nati da una madre diversa.
Raccontaci di come è nata la tua impresa
La nostra impresa è nata grazie ad uno degli incontri più importanti della mia vita, quello con il mio socio, e grande amico, Luca Mastrorocco. Nel corso degli anni, qua a Berlino, ho lavorato in varie aziende come LOVOO, Free2Move, Zalando, e ho sviluppato un’importante conoscenza nel campo del marketing, con specializzazione sulla promozione di applicazioni mobile. Una specializzazione di nicchia che mi ha permesso di “farmi notare”, parlando a conferenze per esempio. L’idea di aprire un’azienda tutta mia, nello specifico un’agenzia, ha inziiato a prendere campo mentre lavoravo a Free2Move come Head of Marketing. Pensavo - ho una specializzazione di marketing richiestissima e che in pochi hanno, devo solo trovare qualcuno con competenze complementari alle mie, magari più tecniche o business, ed è fatta. Ero molto naive al tempo, ma anche se spesso prendo le cose con uno spirito “alla leggera”, quando ho obiettivo in testa faccio di tutto per raggiungerlo.
E qui torno al “fatidico incontro” con Luca, che lavorava nella stessa industria, ma da lato sales. Mi ricordo che la prima volta ci siamo incontrati, provò a vendermi qualcosa, e io gli dissi “Amico, con me non funziona”. Poi cambiammo argomento, e lui mi disse che era il fondatore della pagina Facebook “Improbabili all’estero”, e a quel punto mi conquistò con la simpatia. Da quel momento abbiamo continuato ad incontrarci a conferenze ed eventi di settore, e tutte le volte il nostro rapporto diventava più amichevole, chattavamo spesso su Skype, parlando di cavolate (ovviamente) ma pian piano iniziando anche a parlare di business. Finché un giorno ci siamo detti, perché in Italia nessuno parla di quello che facciamo noi? Così è nato il nostro primo progetto, Mobile Marketing Italia, un sito dove parlavamo di appunto Mobile Marketing, ma solo in Italiano (che non esisteva, e tutt’ora è l’unico). Ci svegliavamo la mattina presto alle 5 per scrivere articoli, o fare video su Youtube. Che tempi.
Grazie a questo primo progetto, siamo addirittura riusciti a trovare alcuni clienti in Italia, e questo ci ha dato la spinta, ad entrambi, di mollare i nostri lavori in azienda - cosa che volevamo fare da tempo entrambi, perché entrambi sentivamo il bisogno di indipendenza. E finalmente a Febbraio 2020, giusto due giorni prima che il covid fosse dichiarato pandmeia, abbiamo fondato REPLUG.
Luca e io ci siamo conosciuti per caso e ci siamo “presi” subito. Scherzo sempre dicendo che da quando l’ho conosciuto, lui sia stata la cosa più vicina che abbia avuto ad una fidanzata. Poi però si è sposato, ed ho dovuto smettere di fare questa battuta. Ora dico solo che è una delle cose migliori che mi sia capitate nella vita, perché grazie al suo incredibile approccio business oriented, alla sua voglia di fare, al suo grit pazzesco, combinati con le mie capacità più “tecniche, siamo riusciti a crescere REPLUG, e a sopravvivere il periodo del covid.
Quali sono, secondo te, gli elementi fondamentali per costruire una carriera all’estero?
Un po’ di sana follia? :) A parte gli scherzi, quando io ho iniziato a costruire la mia carriera all’estero, ovvero quasi 12 anni fa, credo che le cose fossero molto diverse da adesso. Ora credo che anche il sistema scolastico prepari meglio i ragazzi ad uscire dall’italia, anche con programmi di scambio Erasmus. Io ricordo che sono arrivato in Germania, e non parlavo una parola di Inglese. Michele (grazie ancora) mi preparò il primo CV in inglese per la prima intervista.
La cosa che ricordo bene dei miei inizi a Berlino, è che mi sono fatto un mazzo “grande così”, a studiare l’inglese, a studiare cose di marketing, leggere, documentarmi. Quindi se c’è un elemento che reputo fondamentale, è quello di avere un grit fuori dal normale, tanta voglia di fare, e tanta voglia di mettersi in gioco, di crescere, migliorarsi, di essere dell’idea che possiamo imparare qualcosa da tutti. E non aver paura di cambiare percorsi, e provare altre strade, indipendentemente dall’età, o dalle condizioni sociali. Tenendo sempre gli occhi ben aperti, perché in una realtà come Berlino, le opportunità sono ovunque, sia in azienda che fuori, ma bisogna saperle e volerle coglierle.
Sono dell’idea che, alla fine dei conti, la meritocrazia vince sempre. Però insomma sì, anche un po’ di follia ci vuole, perché comunque, benché amici e famiglia possano pensare che tutti noi siamo “scappati” da casa per venire a divertirci, alla fine non tengono in considerazione di quanto sia difficile a volte stare lontano da casa, dalla famiglia, dai genitori. Ci vuole forza a volte, tanta forza.
Guardando al futuro, quali sono i tuoi progetti e come immagini la tua carriera nei prossimi anni?
Di progetti in mente, insieme a Luca, ne abbiamo mille. E se me lo richiedi tra una settimana, potrebbero essere 1100. Sicuramente vogliamo continuare a far crescere REPLUG, offrendo servizi sempre più completi, e sempre più di qualità, per aiutare più applicazioni mobile possibile a raggiungere i loro obiettivi. Per noi l’esperienza del cliente è al centro di ogni progetto, e quindi facciamo sempre un extra sforzo per assicurarci che il servizio sia di qualità, mentre continuiamo a crescere.
Abbiamo anche un progetto parallelo, sempre collegati al mondo delle applicazioni mobile, con il quale stiamo lanciando delle app sviluppate da noi. Una è già live da un po’ (è un’app di fitness, disponibile solo per iOS) e altre sono in via di sviluppo. Di sicuro puntiamo a diversificare le nostre attività. Perché alla fine, a noi piace molto lavorare e fare cose, specialmente quando lo facciamo insieme.
Personalmente, ho un sogno per il futuro, che è quello di riuscire a dedicare più tempo tempo alla parte sociale. Mi reputo una persona estremamente fortunata ad aver avuto una vita piena di possibilità, grazie alla mia famiglia e alle mie condizioni sociali, e mi rendo conto che nel mondo, invece, ci sono altre persone che magari avrebbero le stesse potenzialità, ma non possono esprimerle a causa di fattori che non dipendono da loro. E vorrei poter fare qualcosa.
Qual è stato il momento in cui ti sei sentito più orgoglioso della tua carriera
Ci sono due momenti che ritengo molto belli nella mia carriera a Berlino. Il primo è quando mi hanno invitato in Russia, a Mosca, a parlare ad una conferenza davanti a più di 500 persone di mobile marketing. Mi ricordo l’emozione, io sul palco, insieme ad altri speakers di Coca Cola, Microsoft, Google, Huawei… ero emozionatissimo, quasi incredulo. Ricordo che la ragazza dell’organizzazione, vedendomi teso, mi offrì una vodka prima di salire sul palco.
Il secondo momento, è stato quando con Luca siamo finiti sul Sole24Ore, dove hanno raccontanto la nostra storia. Quella è stata davvero una bella emozione, ma non per il fatto in sé di essere finiti sul Sole24Ore, che ovviamente fa piacere. Ma la felicità credo fosse legata sopratutto al fatto che sapevo quanto i miei genitori, e la mia famiglia, sarebbero stati orgogliosi. Perché non posso nemmeno immaginare quanto sia stato difficile per loro vedere il loro figlio più piccolo partire da casa, e probabilmente quell’articolo è stato come averli “ripagati” della loro pazienza e del loro immenso supporto.
Qual è stata la sfida culturale che ti ha colpito di più appena trasferito? E come l’hai superata
La “meccanicità” con cui funzionano i tedeschi. Ore 10 arrivo in ufficio, ore 10:03, caffè, ore 10:05, inizio a lavorare. Ore 12, pranzo. E niente acqua mi raccomando, beviamo in ufficio. Mi ricordo i miei colleghi tedeschi vedevano il pranzo come una cosa da fare, come nutrizione, per funzionare, non come un momento di piacere. All’inizio è stata dura abituarmi. Poi però, vuoi che ho iniziato a lavorare per aziende più internazionali, e quindi ho conosciuto anche persone non tedesche, vuoi che sono cocciuto, e sono un po’ riuscito a malleare anche i tedeschi, però la tensione si è allentata.
Dopo 12 anni, devo dire che… ahimè, sono io quello che è diventato un po’ meccanico, nelle mie abitudini, nelle mie routines 🙂
Qual è il cliché italiano che senti di incarnare?
Indosso sempre la camicia. Non so perché, mi sento meglio in camicia che in t-shirt. Ed è una cosa che mi hanno sempre fatto notare, quasi pesare. Ma io non demordo :)
Mara Zatti
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