Dall’AI al “continuous learning”, sempre mettendo la curiosità davanti a tutto

L’AI non è un’onda passeggera: sta diventando l’infrastruttura di come le aziende pensano, decidono e operano. Il mio progetto è essere tra coloro che rendono questa transizione affidabile e produttiva: portare l’AI fuori dai POC, dentro ai processi e alle metriche di business, con governance solida e pratica.

Ci racconti chi sei?
Ciao, sono Davide e ho 33 anni. Sono nato a Milano e cresciuto in zona Busto Arsizio, in provincia di Varese. Dopo una triennale in Management e un MSc in Economia alla Bocconi, svolto in concomitanza con un secondo MSc in International Management all’Università Cattolica di Lisbona, sto attualmente frequentando un Master in Intelligenza Artificiale all’ETH di Zurigo, città in cui vivo oramai da sei anni.
In ambito professionale sono manager in una multinazionale di consulenza, con focus su strategia e governance dell’AI.

Cosa ti ha spinto a intraprendere un percorso all’estero?
Già alle superiori (ITE Enrico Tosi di Busto Arsizio) ho avuto l’opportunità di partecipare a vari programmi internazionali (in Corea del Sud, Canada, Stati Uniti, Germania, Lituania, solo per citarne alcuni) e ho sempre avuto il sostegno dei miei genitori, che mi hanno costantemente incoraggiato ad allargare i miei orizzonti. Dopo l’università ho iniziato a lavorare in consulenza a Milano; al termine dei primi due anni ho ricevuto un’offerta a Zurigo da una concorrente: una di quelle classiche offerte a cui difficilmente si dice di no. Ho accettato, e da lì è iniziato il mio percorso svizzero. Ed eccoci qua.

Quali sono gli elementi fondamentali per costruire una carriera solida fuori dall'Italia?
Per una carriera all’estero servono curiosità reale, voglia di uscire dalla comfort zone e lucidità sui propri limiti, insieme alla fiducia che possano essere superati. Le competenze linguistiche sono fondamentali, e la capacità a rimettersi in gioco e di costruire relazioni sono ambedue acceleratori decisivi. Il resto è disciplina: obiettivi chiari, feedback continui, e rete che ti sostiene.

Come immagini la tua carriera nei prossimi anni?
L’AI non è un’onda passeggera: sta diventando l’infrastruttura di come le aziende pensano, decidono e operano. Il mio progetto è essere tra coloro che rendono questa transizione affidabile e produttiva: portare l’AI fuori dai POC, dentro ai processi e alle metriche di business, con governance solida e pratica.

La Svizzera è il luogo giusto: alta intensità di R&D, startup e scale-up, e cultura lavorativa di qualità. Qui voglio crescere in ruoli di guida, tra consulenza e advisory, per aiutare le organizzazioni a definire roadmap chiare, misurare l’impatto e costruire capacità interne. In parallelo, continuerò a investire su formazione avanzata e thought leadership.

Qual è stato il momento in cui ti sei sentito più orgoglioso della tua carriera?
Se devo sceglierne uno, direi la conclusione con successo di un progetto di AI strategy per un ministero in un Paese del Golfo. È stata una prova intensa: tre mesi in loco, dinamiche culturali nuove e complesse, il tutto con un cliente esigente. Ma è tutto andato bene, grazie anche al supporto delle persone a me care. Esperienze così diventano un “metro interno” a cui tornare negli anni, per misurare la propria crescita e trarne insegnamenti duraturi.

Qual è stata la sfida culturale che ti ha colpito di più appena trasferito? E come l’hai superata?
La prima “sberla” culturale? La domenica è tutto chiuso: serrande abbassate e città quieta. L’ho risolta cambiando abitudini: spesa e commissioni il sabato, e la domenica dedicata a sport e amici.

La seconda? I ristoranti chiudono presto, alle 22. Talvolta devi lasciare un drink a metà. Oggi mi organizzo meglio e frequento locali “di fiducia” più elastici.

Quali sono i tre principali vantaggi di vivere in Svizzera?
Mi attraggono tre fattori: 1) Una natura mozzafiato, soprattutto le montagne e gli spazi aperti, che vivo anche come membro dei club alpini italiano e svizzero e come Spartan Racer, 2) Una qualità della vita altissima e 3) Un ambiente davvero internazionale, che combinato alla vicinanza ai miei luoghi d’origine rende tutto sostenibile anche sul piano personale.

Qual è il cliché italiano che incarni di più?
Se c’è un cliché che riconosco, è la propensione a creare connessioni attraverso cultura e gastronomia: discussioni su cucina, vini, arte, storia, filosofia e design sono frequenti, e talvolta le accompagno con prodotti tipici italiani... Ovviamente, ogni tanto devi portare agli amici di qui qualche leccornia nostrana! 

Tu fai parte di IPN, come membro attivo. Ci descrivi il tuo ruolo?
Sono City Committee Member di Zurigo.

Cosa ti ha spinto ad unirti al progetto e cosa ti sta dando?
Il progetto IPN mi ha conquistato per la sua ambizione e per le opportunità tangibili che può creare per gli italiani all’estero. C’è un potenziale reale, pronto a tradursi in impatto su larga scala. Inoltre, si ha la possibilità di conoscere persone davvero interessanti. 

Mara Zatti

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