Una carriera internazionale tra HR, counseling e coaching
“Il mio obiettivo più ampio è continuare a costruire un network di professionisti – counselor, psicologi, coach e altre figure di supporto – per creare percorsi integrati e multidisciplinari per chi vive fasi di difficoltà personale o professionale. Credo profondamente nella collaborazione tra competenze diverse per offrire un supporto più completo e realmente utile.”
Ci racconti brevemente chi sei?
Certo! Sono nata a Como ma fin da piccola ho vissuto in diverse città, girato il mondo e assaporato differenze culturali. Mi sono trasferita molte volte e i miei amici sanno che ho sempre una valigia pronta per andare da qualche parte. Durante gli studi in Economia ho capito che l’organizzazione aziendale e le persone sono erano la mia passione. Sono entrata nel mondo delle Risorse Umane avendo la fortuna di lavorare in due ottime multinazionali e, dopo essere diventata mamma (e con l’ennesimo trasloco!), ho intrapreso un percorso di quattro anni per diventare counselor sistemico relazionale. Ho completato la mia formazione come coach qui negli Stati Uniti. Oggi faccio il lavoro dei miei sogni: supporto persone e aziende che stanno attraversando momenti complessi, aiutandole a ritrovare stabilità, focus e strumenti concreti per ripartire. Da quando sono a Seattle, lavoro molto con expat come me, e questo mi arricchisce profondamente ogni giorno.
Cosa ti ha spinto a intraprendere un percorso all’estero?
In primis, la voglia di crescere. Da sempre sono stata spinta dal desiderio di viaggiare e scoprire. Ogni anno, dalla terza media in poi, i miei genitori mi hanno permesso di fare periodi all’estero. Inoltre, ogni 2 o 3 anni, mio padre era soggetto a trasferimento. Lui si spostava e noi con lui. Questo ha sicuramente dato una spinta a quello che sarebbe venuto dopo. Quando mio marito mi ha parlato di questa offerta a Seattle, non dico che ho fatto i salti di gioia ma… sì, credo proprio di averli fatti! E qui arriva il secondo motivo. La mia famiglia. Il poter far crescere i nostri figli in un ambiente multietnico e internazionale, aperti e curiosi come lo siamo noi.
Quali sono, secondo te, gli elementi fondamentali per costruire una carriera all’estero?
Sicuramente la curiosità, anche se la risposta sembra scontata. Devi davvero avere il desiderio di scoprire qualcosa, quando lasci il tuo Paese di origine.
La capacità di lasciar andare. Non puoi pensare di ricreare un mondo identico a quello che hai alle spalle. Seguo molti clienti che ritornano indietro perché non riescono a fare le cose che facevano “a casa”. È vero, è difficile soprattutto all’inizio. Ma c’è del bello ovunque, basta volerlo scoprire. Senza fare continuamente paragoni!
L'umiltà di saper fallire, imparando qualcosa di nuovo ogni giorno, e la resilienza di riprovarci e non mollare. Credo che molte persone si fermino prima, per paura di non farcela a superare gli ostacoli. Ce ne sono, è inutile dire il contrario. Ma la ricchezza sta anche in quei momenti in cui ti senti davvero giù e lo stesso, ci riprovi.
Aggiungo infine che avere un piano preciso da seguire e mantenere il focus sugli obiettivi sono assolutamente due fattori determinanti per il successo.
Guardando al futuro, quali sono i tuoi progetti e come immagini la tua carriera nei prossimi anni?
Nei prossimi anni vedo la mia crescita svilupparsi su tre direzioni principali.
La prima è la collaborazione con Job Step, un progetto in cui credo molto perché unisce orientamento, consapevolezza professionale e reale supporto alle persone nei momenti di transizione, ovviamente tenendo conto dell’avvento dell’AI anche nel nostro campo. Vorrei contribuire a farlo crescere, portando la mia esperienza nel counseling e nel coaching.
La seconda è la mia newsletter The Resilient Mindset, che desidero trasformare sempre più in uno spazio di riflessione, ricerca e divulgazione sul cambiamento, sulla resilienza e sul benessere professionale. Mi piacerebbe farla diventare un punto di riferimento per chi cerca strumenti concreti e una visione umana del lavoro, e per chi come me e vive e lavora all’estero.
Infine, il mio obiettivo più ampio è continuare a costruire un network di professionisti – counselor, psicologi, coach e altre figure di supporto – per creare percorsi integrati e multidisciplinari per chi vive fasi di difficoltà personale o professionale. Credo profondamente nella collaborazione tra competenze diverse per offrire un supporto più completo e realmente utile.
In sintesi, mi immagino in un percorso di crescita che unisce pratica professionale, divulgazione e collaborazione, con l’obiettivo di contribuire in modo concreto al benessere delle persone e alla cultura del lavoro, in un’era di grandi cambiamenti sociali e tecnologici.
Qual è stata la sfida culturale che ti ha colpito di più appena trasferita?
Sicuramente scoprire che qui a Seattle la socialità è molto diversa da come la intendiamo noi. Ci sono diverse “regole non scritte” da imparare e alcune all’inizio ti sembrano davvero fuorvianti. Personalmente riesco a fare amicizia con tutti ma qui non è stato così. La cosa mi ha stupita molto, e ha ridimensionato le mie aspettative. Ciò che mi ha aiutato maggiormente è diventare volontaria per una no-profit a livello nazionale, in un programma che aiuta gli immigrati con alta scolarità a rimettersi in gioco nel mercato del lavoro statunitense. Ho conosciuto tante persone come me, mogli che sono venute qui con i mariti che lavorano in grandi aziende, o studenti internazionali che hanno scelto di restare. Condividere storie, esperienze, dolori e aiutarli a scoprire i loro punti di forza, ha fatto davvero la differenza. E poi, bisogna buttarsi! Non avere paura del rifiuto ma insistere.
Mara Zatti
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